DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE

Si tratta di persistenti disturbi del comportamento alimentare e/o finalizzati al controllo del peso, che danneggiano la salute fisica o il funzionamento psicologico e che non sono secondari a nessuna condizione medica o psichiatrica conosciuta.
I principali disturbi dell’alimentazione sono: anoressia nervosa e bulimia nervosa. Accanto ad essi sono stati descritti un’ampia categoria di disturbi dell’alimentazione atipici (fra cui il disturbo da alimentazione incontrollata spesso presente in casi di obesità). L’obesità non è riconosciuta come un disordine del comportamento alimentare e quindi non richiede necessariamente il ricorso ad un intervento di tipo psicologico, ma è ormai accettato che il suo trattamento si avvale positivamente di tecniche di tipo cognitivo comportamentale.
L’eccessiva importanza attribuita al peso, alle forme corporee e al controllo dell’alimentazione è attualmente considerata la psicopatologia centrale sia dell’anoressia nervosa che nella bulimia nervosa.
Negli ultimi vent’anni il trattamento della bulimia nevosa è stato estensivamente studiato, mentre per l’anoressia nervosa sono stati effettuati solo pochi studi controllati.

Anoressia Nervosa
Una persona è affetta da Anoressia Nervosa se manifesta tutte e quattro le seguenti caratteristiche:
– Perdita di peso rilevante (più del 15% del peso considerato normale per età, sesso e altezza)
– Paura intensa di ingrassare anche quando si è in sottopeso
- Alterazione nel modo di vivere il peso, la taglia e le forme corporee.
– Scomparsa delle mestruazioni (nelle donne assenza di almeno tre cicli mestruali consecutivi)

La caratteristica principale dell’anoressia nervosa è il rifiuto del cibo, ma chi soffre di tale disturbo ha sempre una intensa fame e appetito. Il rifiuto di mangiare nasce dalla forte paura di ingrassare e dalla necessità di controllare l’alimentazione. Per evitare di ingrassare chi soffre di anoressia nervosa mette in atto una serie di comportamenti tipici del disturbo quali seguire una dieta ferrea, fare esercizio fisico in maniera eccessiva, indursi il vomito dopo aver mangiato anche piccole quantità di cibo.

Si distinguono due forme di anoressia nervosa: l’anoressia restrittiva, forma in cui il dimagrimento è causato dal digiuno e dall’intensa attività fisica, e l’anoressia con bulimia, forma in cui la persona mette in atto comportamenti che insieme al digiuno servono a diminuire il peso corporeo (abuso di lassativi e/o diuretici, vomito).
La percezione ed il valore attribuiti all’aspetto fisico ed al peso corporeo risultano distorti in questi soggetti. Alcuni si sentono grassi in riferimento alla totalità del loro corpo, altri pur ammettendo la propria magrezza, percepiscono come “troppo grasse” alcune parti del corpo, in genere l’addome, i glutei, le cosce. 
Possono adottare le tecniche più disparate per valutare dimensioni e peso corporei, come pesarsi di continuo, misurarsi ossessivamente con il metro, o controllare allo specchio le parti percepite come “grasse”. Nei soggetti con anoressia nervosa i livelli di autostima sono fortemente influenzati dalla forma fisica e dal peso corporeo. La perdita di peso viene considerata come una straordinaria conquista ed un segno di ferrea autodisciplina, mentre l’incremento ponderale viene esperito come una inaccettabile perdita delle capacità di controllo.
Sebbene alcuni possano rendersi conto della propria magrezza, tipicamente i soggetti con questo disturbo negano le gravi conseguenze sul piano della salute fisica del loro stato di emaciazione.
Molti segni e sintomi dell’Anoressia Nervosa sono connessi alla estrema denutrizione. Oltre all’amenorrea, i soggetti possono lamentare stipsi, dolori addominali, intolleranza al freddo, letargia o eccesso di energia. Possono essere presenti marcata ipotensione, ipotermia e secchezza della cute. Alcuni individui sviluppano “lanugo”, una fine e soffice peluria, sul tronco. 
Molti soggetti con anoressia nervosa presentano bradicardia, alcuni hanno edemi periferici, più frequenti al momento del recupero del peso o alla sospensione dell’assunzione di lassativi e diuretici. Raramente petecchie alle estremità possono indicare una diatesi emorragica. In alcuni si evidenzia una colorazione gialla della cute associata ad ipercarotenemia. Può essere presente ipertrofia delle ghiandole salivari, principalmente delle parotidi. I soggetti che si dedicano alla pratica del vomito autoindotto possono manifestare erosioni dello smalto dentale, e cicatrici o callosità sul dorso delle mani, provocate dallo sfregamento contro l’arcata dentaria nel tentativo di provocare il vomito.
La diffusione dell’anoressia nervosa sembra essere di gran lunga maggiore nei paesi industrializzati, dove vi è abbondanza di cibo, ed in cui, specialmente per il sesso femminile, è enfatizzato il valore della magrezza. Questo disturbo sembra essere di comune riscontro negli Stati Uniti d’America, Canada, Europa, Australia, Giappone, Nuova Zelanda e Sud Africa, per quanto non vi siano dati certi per quanto riguarda le altre culture. 
L’anoressia nervosa raramente insorge prima della pubertà, ma sembra comunque che, nei casi ad esordio in epoca prepuberale, il quadro clinico sia più grave per i disturbi mentali associati. I dati disponibili evidenziano come la prognosi sia migliore quando il disturbo si manifesta nella prima adolescenza (tra i 13 ed i 18 anni). Più del 90% dei casi di anoressia nervosa si sviluppano nel sesso femminile.
Il disturbo si presenta raramente in donne oltre i 40 anni. Spesso è presente un evento della vita stressante, come lasciare casa per trasferirsi all’università, in collegamento con l’esordio del disturbo. L’evoluzione e gli esiti dell’anoressia nervosa sono estremamente variabili; in alcuni casi, ad un episodio di anoressia nervosa fa seguito una completa remissione; in altri, fasi di remissione, con recupero del peso corporeo, si alternano a fasi di riacutizzazione. Altri ancora presentano un’evoluzione cronica, con progressivo deterioramento nel corso degli anni. Può rendersi necessario il ricovero in ambiente ospedaliero per il ripristino del peso corporeo o la correzione di squilibri elettrolitici. Tra i soggetti ricoverati presso strutture universitarie, la mortalità a lungo termine per anoressia nervosa è maggiore del 10%. Il decesso si verifica in genere in rapporto alla denutrizione, agli squilibri elettrolitici, a suicidio.

Trattamento anoressia nervosa
Per il trattamento dell’anoressia nervosa basandosi per lo più sull’esperienza clinica dei terapeuti che curano questo disturbo, si può dire che l’intervento deve seguire i seguenti principi:

  • aiutare il paziente a sviluppare e a mantenere la motivazione
  • normalizzare il peso
  • ridurre l’eccessiva importanza attribuita al peso, alle forme corporee e al controllo dell’alimentazione ed eliminare gli altri fattori di mantenimento
    trattamento sanitario obbligatorio, indicato solo per un numero limitato di pazienti che presentano un reale pericolo di vita e non sono disponibili ad affrontare nessun tipo di cura.

Bulimia Nervosa
Una persona affetta da Bulimia Nervosa presenta le seguenti caratteristiche:

 Abbuffate ricorrenti caratterizzate dal consumo di grandi quantità di cibo e dalla sensazione di perdere il controllo sull’atto di mangiare.
 Comportamenti di compenso. Il vomito autoindotto è il meccanismo di compenso più frequentemente utilizzato, molte persone utilizzano lassativi e diuretici impropriamente, altre fanno esercizio fisico in modo eccessivo.
 Le abbuffate e le condotte compensatorie devono verificarsi almeno 2 volte a settimana per tre mesi
- Preoccupazione estrema per il peso e le forme corporee. 
 Il disturbo non si manifesta esclusivamente nel corso di episodi di anoressia nervosa. 

La caratteristica principale della bulimia nervosa è un circolo autoperpetuante di preoccupazione per il peso e le forme corporee -> dieta ferrea -> abbuffate -> vomito autoindotto.
La diretta conseguenza dell’intensa preoccupazione per le forme e il peso in soggetti che basano l’autovalutazione personale sulla magrezza è cercare di dimagrire seguendo una dieta caratterizzata da regole molto rigide. La dieta ferrea è la principale responsabile della comparsa delle abbuffate.
Seguire una dieta rigida in modo perfezionistico porta prima o poi inevitabilmente a compiere piccole trasgressioni che vengono vissute da chi soffre di problemi dell’alimentazione come una irrimediabile perdita di controllo.
Le abbuffate in una prima fase possono dare piacere perché allentano la tensione del dover seguire in modo ferreo la dieta, col passare del tempo determinano però emozioni negative (paura di ingrassare, senso di colpa, vergogna, disgusto) che a loro volta possono innescare nuove abbuffate
I soggetti con Bulimia Nervosa tipicamente si vergognano delle loro abitudini alimentari patologiche e tentano di nasconderle. Le crisi bulimiche avvengono in solitudine: quanto più segretamente possibile. L’episodio può essere più o meno pianificato, ed è di solito caratterizzato (anche se non sempre) dalla rapidità dell’ingestione del cibo. L’abbuffata spesso continua finché l’individuo non si sente “così pieno da star male”, ed è precipitata da stati di umore negativo, condizioni interpersonali di stress, intensa fame a seguito di una restrizione dietetica, oppure da sentimenti di insoddisfazione relativi al peso, la forma del corpo o il cibo. Una crisi bulimica è inoltre accompagnata da sensazione di perdere il controllo. La perdita di controllo associata alle abbuffate, però, non è assoluta: il soggetto può continuare l’abbuffata a dispetto del telefono che squilla, ma interromperla bruscamente se il coniuge o il compagno di stanza entra inaspettatamente nella stanza.
Un’altra caratteristica essenziale della Bulimia Nervosa è il frequente ricorso a inappropriati comportamenti compensatori per prevenire l’incremento ponderale, neutralizzando gli effetti dell’abbuffata: tra i metodi, quello più frequentemente adottato è l’autoinduzione del vomito. Il vomito riduce la sensazione di malessere fisico, oltre alla paura di ingrassare. In alcuni casi il vomito rappresenta l’effetto ricercato: la persona si abbuffa per poter vomitare, oppure vomita anche per piccole quantità di cibo. In genere, nelle fasi avanzate del disturbo questi soggetti riescono a vomitare a comando. Altre condotte di eliminazione sono rappresentate dall’uso inappropriato di lassativi e diuretici; l’uso di lassativi è presente in un terzo dei soggetti con Bulimia Nervosa. Raramente è presente anche uso di clisteri subito dopo l’abbuffata, ma non è mai la sola condotta di eliminazione.
Altre misure compensatorie per le abbuffate sono il digiuno nei giorni successivi o l’esercizio fisico eccessivo. Raramente viene fatto uso di ormoni tiroidei per accelerare il metabolismo ed evitare l’aumento di peso.
Il frequente ricorso a condotte di eliminazione può produrre alterazioni dell’equilibrio elettrolitico e dei fluidi, tra cui i più frequenti sono: ipopotassiemia, iponatriemia, ipocloremia. La perdita di succo gastrico acido attraverso il vomito può produrre alcalosi metabolica (aumento del bicarbonato sierico), mentre l’abuso di lassativi per indurre diarrea può provocare acidosi metabolica. Alcuni individui con Bulimia Nervosa presentano una lieve elevazione dell’amilasi nel siero, probabilmente legata all’incremento dell’isoenzima salivare. Il vomito ripetuto può condurre ad una cospicua e permanente perdita dello smalto dentale, specialmente a livello delle superfici linguali dei denti incisivi. Questi denti diventano scheggiati, intaccati, e “tarlati”. Inoltre si può avere un aumento della frequenza delle carie. In alcuni individui le ghiandole salivari, in special modo le parotidi, possono marcatamente ingrossarsi.

Trattamento bulimia nervosa
La ricerca ha generato che il trattamento più efficace per la bulimia nervosa è la terapia cognitivo comportamentale, che si focalizza nel cercare di modificare specifici comportamenti e modi di pensare che mantengono il disturbo dell’alimentazione del paziente. Questo tipo di terapia (ideata dal Prof. Fairburn di Oxford) prevede 20 sedute di 50 minuti ciascuna in 5 mesi, determinando una completa guarigione di circa il 50% dei casi, un miglioramento significativo nel 30% e nessun miglioramento nel 20% dei casi. I risultati sono mantenuti ad 1 anno ed in uno studio anche a 6 anni dalla fine della cura.

Disturbo da alimentazione incontrollata o BED (Binge Eating Disorder)
Circa il 20-30% dei soggetti che richiedono un trattamento per l’obesità rientrano nella definizione di disturbo di comportamento alimentare, ma non in quella della bulimia nervosa, perchè la maggior parte dei casi non utilizzano “mezzi di compenso”. Ciò ha recentemente portato a definire un nuovo disturbo del comportamento alimentare: il disturbo da alimentazione incontrollata o binge eating disorder.

Caratteristiche del disturbo:
• episodi ricorrenti di abbuffate (grandi quantità di cibo mangiate velocemente, in un dato periodo di tempo e con perdita di controllo),
le abbuffate sono associate a 3 o più dei seguenti sintomo

  1. 
mangiare molto più velocemente del normale
  2. mangiare fino a sentirsi spiacevolmente pieni
  3. mangiare grandi quantità di cibo anche se non si ha veramente fame
  4. 
mangiare da soli a causa dell’imbarazzo per quanto si sta mangiando
  5. sentirsi disgustati verso se stessi, depressi, o in colpa dopo le abbuffate

• Provare forte disagio per il fatto di non riuscire a controllarsi
• Abbuffarsi per almeno 2 giorni alla settimana per 2 mesi
• Non usare mezzi di compenso
• Molti studi hanno dimostrato che circa il 50% dei soggetti colpiti ha alle spalle una storia di depressione.

Differenze con la bulimia nervosa:

  • assenza di dieta ferrea
  • assenza di mezzi di compenso
  • assenza del valore estremamente positivo attribuito alla magrezza

Obesità
L’obesità è una condizione di accumulo anormale o eccessivo di grasso nel tessuto adiposo tale che la salute ne può essere danneggiata.
La perdita di peso è sempre indicata nelle situazioni in cui è presente un indice di massa corporea (BMI – peso fratto altezza espressa in metri, al quadrato) superiore a 30 o nelle situazioni in cui il BMI oscilla fra 25 e 29 e si associa ad una circonferenza vita elevata (uomini > 102, donne > 88).
La diffusione dell’obesità sta crescendo in modo sostanziale sia nei paesi sviluppati sia in quelli in via di sviluppo.
In Italia è presente un tasso di sovrappeso del 33,1% e dell’obesità del 9,7%. L’impatto dell’aumento del peso corporeo su morbilità e mortalità è così elevato che l’obesità è considerata oggi una dei maggiori problemi per la salute pubblica generale. Mentre la soluzione terapeutica dell’obesità appare ancora lontana, negli ultimi anni si è sviluppato un vasto consenso sul fatto che una perdita di peso corporeo del 10%, raggiunta in un periodo di 6 mesi, sia in grado di diminuire significativamente le complicanze mediche e i fattori di rischio associati all’eccesso ponderale.
La maggior parte degli studi sull’obesità ha osservato, tuttavia, che il problema principale non è costituito dal calo ponderale, ma dal suo mantenimento. E’ a tal fine che gli attuali programmi di terapia dell’obesità sono basati su un modello cognitivo comportamentale e non solo comportamentale in cui viene data peculiare attenzione ai processi cognitivi coinvolti nella ricaduta.

Trattamento Obesità
L’obesità non è riconosciuta come un disordine del comportamento alimentare (DCA) e quindi non richiede necessariamente il ricorso ad un intervento di tipo psicologico, ma è ormai accettato che il suo trattamento si avvale positivamente di tecniche di tipo cognitivo comportamentale.
Non serve prescrivere ai pazienti obesi la dieta e dire loro cosa fare e non fare. Limitarsi a prescrizioni sulla qualità e sulla quantità dell’alimentazione renderà il paziente passivo di fronte al suo cambiamento, che per essere significativo e duraturo deve nascere da una partecipazione attiva.
Più ci si sente impotenti a gestire le situazioni difficili, più si spera in un miracolo. Il cambiamento, invece, si può raggiungere attraverso un impegno costante e la consapevolezza che esso può avvenire solo accettando i piccoli passi che costituiscono l’unica strada per un risultato vero e duraturo. 
La parola chiave deve essere “insegnare ed educare” e non “prescrivere”. Il paziente deve avere la percezione del controllo e per questo è basilare aiutarlo ad acquisire capacità di autogestione e abilità decisionali.

Obesità infatile
Il rischio relativo per un bambino obeso di diventare un adulto obeso aumenta con l’età ed è direttamente proporzionale alla gravità dell’eccesso ponderale.
Fra i bambini obesi in età prescolare, dal 26 al 41% è obeso da adulto, e fra i bambini in età scolare tale percentuale sale al 69%. 
Nell’insieme, il rischio per i bambini obesi di divenirlo da adulti varia tra 2 e 6,5 volte rispetto ai bambini non obesi. La percentuale di rischio sale al 83% per gli adolescenti obesi.
L’avere uno o entrambi i genitori obesi è il fattore di rischio più importante per la comparsa dell’obesità in un bambino. 
Un altro aspetto recentemente studiato, collegato allo sviluppo di obesità infantile, è l’adiposity rebound.
Nella popolazione generale in età pediatrica, dopo l’età di un anno, i valori di BMI diminuiscono per poi stabilizzarsi e riprendere ad aumentare mediamente solamente dopo l’età di 5-6 anni. L’età alla quale si raggiunge il valore minimo prima dell’aumento fisiologico del BMI si chiama adiposity rebound e mediamente corrisponde all’età di 5-6 anni. Un incremento dei valori di BMI prima dei 5 anni (adiposity rebound precoce) viene riconosciuto come un indicatore precoce di rischio di sviluppo di obesità.

Obesità infantile: aspetti psicologici
L’importanza di prendere in esame l’obesità infantile non riguarda solo l’aspetto di salute fisica ma anche psicologica.
Un bambino che soffre di obesità è soggetto a etichettamenti, prese in giro, difficoltà motorie che lo possono portare ad autoescludersi dal gruppo dei pari. Queste situazioni portano il bambino a sviluppare alcuni disagi fondamentali:

  • scarsa autostima
  • scarso senso di autoefficacia
  • identificazione di se stesso con i pregiudizi sociali sull’obesità (pigro, sporco…)
  • inadeguatezza abilità sociali

Trattamento obesità infantile
Il trattamento cognitivo comportamentale nell’età evolutiva prevede tecniche finalizzate alla riduzione della sedentarietà e il potenziamento dell’attività fisica sono elementi integranti della prevenzione e del trattamento dell’obesità.
Un’altra area riguarda l’alimentazione. Se la prevenzione fallisce, è opportuno indirizzare ogni bambino di età superiore a 3 anni in sovrappeso ad un trattamento dietetico personalizzato che necessariamente dovrà tenere conto dell’età, del sovrappeso e delle condizioni cliniche e psicologiche
La precocità del trattamento incrementa le possibilità di successo perché con il crescere dell’età aumentano sia il rischio che l’obesità persista in età adulta, sia la difficoltà di ottenere equilibrate modificazioni delle abitudini nutrizionali, specie in un adolescente. Con l’età, infatti, aumenta la neofobia che contribuisce a rendere più difficile la disponibilità dei giovani a nuovi sapori e alimenti.
Un intervento precoce, inoltre, si pone come obiettivo la prevenzione delle complicanze. E’ opportuno coinvolgere non solamente il paziente ma l’intera famiglia e tutti quelli che si prendono cura del bambino, allo scopo di promuovere cambiamenti ambientali essenziali per un successo che duri nel tempo. 
Se i bambini o ragazzi non sono pronti per modificazioni nutrizionali o di stile di vita, potrebbe essere opportuno rimandare il trattamento o inviare l’intera famiglia ad un colloquio motivazionale e/o supporto psicologico.
I genitori devono essere informati che l’obiettivo principale della terapia dell’obesità in età evolutiva è quello di ottenere cambiamenti comportamentali permanenti, non rapidi cali ponderali mediante diete di breve durata. 
Uno dei principi della prevenzione e del trattamento del bambino affetto da obesità moderata e quindi della maggior parte dei casi di obesità è fondata sull’educazione e soprattutto sulla scelta qualitativa degli alimenti. 
Il motto potrebbe essere: a buona qualità corrisponde corretta quantità.
La terapia dietetica si pone non solo l’obiettivo di ridurre il grado di obesità, ma anche di educare ad una dieta equilibrata e ad una vita attiva. E’indispensabile che chi prescrive un trattamento dietetico tenga conto dei fabbisogni nutrizionali di macro e micronutrienti alle diverse età ed eviti il rischio di malnutrizione o di comparsa di disturbi del comportamento alimentare

Obiettivi
Il trattamento dell’obesità essenziale in età evolutiva deve tendere ad incidere positivamente ed in modo persistente su alimentazione, comportamento ed attività fisica del bambino e quindi i programmi terapeutici non possono prescindere dal prevedere un intervento a ciascuno dei tre livelli. Per quanto riguarda la terapia dietetica dell’obesità essenziale i suoi scopi possono essere sintetizzati nei seguenti punti:

  • riduzione del sovrappeso e raggiungimento di un nuovo equilibrio fra spesa energetica ed apporto calorico (mediante il potenziamento dell’attività fisica e la modificazione persistente di stile di vita ed abitudini nutrizionali), che non significa il raggiungimento del peso ideale
    mantenimento della massa magra, in particolare della massa muscolare che rappresenta il compartimento corporeo metabolicamente attivo, in grado di incidere positivamente sul metabolismo basale e, di conseguenza, sulla spesa energetica totale
  • riduzione della massa grassa
    mantenimento di ritmi di accrescimento adeguati
    raggiungimento di un corretto rapporto fra peso e statura
  • corretta nutrizione con ripartizione adeguata in nutrienti e scelta di alimenti capaci di indurre elevato senso di sazietà
    mantenimento dell’equilibrio staturo-ponderale raggiunto
    prevenzione delle complicanze dell’obesità.